Come è a tutti noto, gli alberi necessitano di acqua per la traspirazione e per traslocare le sostanze minerali dalle radici alle foglie, dove esse entrano all’interno del processo fotosintetico e dei cicli a esso collegati e, successivamente, vengono incorporate nei prodotti organici di sintesi.
L’acqua è, inoltre, il vettore che consente di traslocare la linfa elaborata a tutti gli altri organi per mantenere le funzioni vitali e massimizzare la crescita della pianta. Per questo, qualsiasi limitazione del rifornimento idrico determina, sulle funzioni vitali della pianta, alterazioni che causano una riduzione o, in casi estremi, la cessazione dell’attività fotosintetica.
A livello fisico, lo stress idrico determina una tensione elastica e una plastica. Nel primo caso si può avere una riduzione della fotosintesi, un abbassamento della quantità di carboidrati prodotti e della quantità di amido di riserva nelle radici e nella parte legnosa della chioma. Questi livelli possono tornare normali se, durante la stagione, o in quella successiva, la siccità si riduce.
La tensione plastica, invece, è una risposta delle piante allo stress idrico (soprattutto prolungato) che determina alterazioni permanenti e non reversibili.
La riduzione della fotosintesi, tuttavia, non è il solo processo che risulta negativamente influenzato dalla ridotta disponibilità idrica; la disidratazione delle cellule, infatti, determina una minore attività enzimatica e, in una reazione a catena, un’alterazione della concentrazione di zuccheri e di aminoacidi (alcuni aumentano, altri diminuiscono) e di tutti i cicli biologici della pianta.
Ciò causa modifiche nella formazione di tutti i composti che più o meno direttamente provengono dalla organicazione del carbonio, come lipidi, proteine, regolatori di crescita (ad es. la produzione di citochinine e di gibberelline diminuisce in condizioni di siccità) e molti prodotti metabolici secondari. I metaboliti secondari sono responsabili di molti meccanismi di difesa che la pianta mette in atto per contrastare gli attacchi dei parassiti. Questi metaboliti includono oleoresine, polifenoli (tannini e antociani) e alcaloidi.
Inizialmente si evidenzia un aumento della concentrazione di queste sostanze nelle piante stressate, determinata dalla degradazione dei carboidrati utilizzati per la loro produzione; tuttavia, in caso di persistenza delle condizioni di stress idrico, avvengono delle modifiche che rendono le piante più vulnerabili ad attacchi parassitari ai quali, in condizioni normali, esse sarebbero in grado di far fronte. Questi sono soprattutto evidenti in questi ultimi anni sia nelle alberature cittadine, sia, con particolare frequenza, nei parchi urbani dell’Italia centro-settentrionale. Quest’anno risulta particolarmente problematico perché la mancanza di piogge si è verificata anche nel periodo invernale e primaverile.
I fattori coinvolti sono l’indebolimento generale della pianta, la ridotta produzione sostanze chimiche di difesa e, invece, la produzione di “attrattivi” chimici. Gli insetti che più facilmente attaccano le piante in queste condizioni sono spesso quelli che normalmente vivono e si riproducono nelle parti secche e malate della chioma e sono attratti dagli alberi stressati da vari meccanismi, inclusi stimoli chimici ed acustici. In genere gli alberi sottoposti a stress idrico crescono più lentamente del normale e non sono in grado di fronteggiare l’attacco iniziale da parte del primo stato larvale dei minatori. Poiché lo spessore degli anelli del floema più interno e di quelli xilematici è minore del normale, il danno al sistema vascolare è molto più elevato rispetto a quando l’albero è in buona salute. Il danno diviene ancora maggiore quando le larve, attraversando i vari stadi di crescita, aumentano di dimensioni e determinano un danno ancora più grave.
Ci sono anche alcune informazioni, seppur ancora non completamente avallate dalla ricerca scientifica, che indicano nel cambiamento degli zuccheri immagazzinati nei tessuti di riserva (c’è un incremento nella quantità di zuccheri ridotti ed una diminuzione dell’amido nei rami e nei tessuti radicali) uno dei motivi della maggiore suscettibilità delle piante stressate agli attacchi parassitari. Anche il contenuto in azoto e di alcuni aminoacidi aumenta nei tessuti stressati di alcune specie.
Altre ricerche hanno evidenziato un incremento nelle popolazioni di insetti defogliatori (Lymantria dispar) in presenza di periodi siccitosi. Questo incremento potrebbe essere dovuto ai cambiamenti indotti nella qualità del cibo che determina un aumento nella produzione di uova e, quindi, del numero di larve defogliatrici l’anno seguente. Altre ricerche suggeriscono che la siccità riduce la possibilità di attacchi di iperparassiti alle larve che, di conseguenza, sopravvivono in quantità superiore; è probabile che entrambi i fattori siano coinvolti.
Molto frequenti sono gli attacchi di coleotteri buprestidi facilmente individuabili per la fitta rete di canali che essi scavano sotto corteccia. Oltre agli insetti, sembra che anche la virulenza di certi agenti patogeni sia maggiore in alberi stressati. In genere, gli organismi coinvolti nell’attacco ad alberi indeboliti dalla siccità sono necrotrofici facoltativi, cioè microrganismi che sopravvivono su tessuti di alberi morti, ma che possono anche colonizzare e uccidere alberi già indeboliti.
Pur essendo il numero di questi organismi alquanto elevato, i più importanti sono sicuramente quelli che determinano l’insorgere di cancri, sia annuali, sia permanenti, come Botryosphaeria, Botrydiplodia, Phomopsis, Leucostoma, Cytospora e soprattutto Nectria. Molte evidenze sperimentali hanno dimostrato che la suscettibilità a questi organismi è correlata al tenore di umidità della parte esterna della corteccia, così come alla sua composizione chimica.
Un altro parassita la cui virulenza è strettamente correlata allo stress idrico è l’Armillaria (del quale esistono numerose specie, tutte alquanto pericolose per la vitalità degli alberi e, soprattutto, per la loro stabilità strutturale).
I meccanismi di resistenza agli attacchi di questo patogeno, in condizioni di forte stress idrico, sono compromessi e le radici sono colonizzate ed uccise. Talvolta il fungo raggiunge la base del fusto e la inguaina, uccidendo l’intera pianta. Questo avviene a causa di cambiamenti negli enzimi che possono contrastare l’attacco dei funghi, della produzione di zuccheri che stimolano la crescita del fungo e della degradazione di sostanze che inibiscono la crescita del parassita, che è così in grado di penetrare all’interno dell’albero colonizzando e uccidendo i tessuti. L’Armillaria, inoltre, è un fungo opportunista che può vivere a lungo nelle radici della pianta senza causare seri danni, poiché le piane sane sono in grado di isolarlo e compartimentalizzarlo senza grossi problemi. Deve essere sottolineato che alberi di grosse dimensioni possono anche non manifestare i sintomi della presenza del fungo fino a che non ha già colonizzato oltre la metà dell’apparato radicale. Appare quindi importante un monitoraggio della presenza del fungo qualora si fossero verificati periodi siccitosi che ne potrebbero aver aumentato la virulenza e che, al contempo, potrebbero aver reso le piante più suscettibili ai suoi attacchi.
Arboricoltura Urbana-Arboriculture and Urban Forestry di Francesco Ferrini
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