Secondo i dati Ismea, i consumi procapite sono raddoppiati negli ultimi 10 anni , e sono circa 3 kg/anno. Ormai studi nutrizionali hanno dimostrato i benefici per la salute associati agli apporti di noci, mandorle, nocciole e pistacchi nella dieta mediterranea.
Questi dati scientifici hanno indotto un maggiore interesse verso la coltivazione per la produzione di frutta secca. La prima coltura è quella della nocciola che rappresenta il 46% delle superfici coltivate a frutta con guscio.

La mandorla, invece, rappresenta il 27% delle colture censite ma in progressivo aumento e interesse. Un ritorno alla tradizione se consideriamo che fino a metà del secolo scorso l’Italia rappresentava il primo produttore mondiale fino ad essere minacciato il primato e superato dalle produzioni californiane.
Ma da un punto di vista qualitativo le mandorle californiane non superano il confronto con la qualità di quelle siciliane.
Le peculiarità delle mandorle siciliane, ed in particolare della più famosa mandorla di Avola (Siracusa), sono legate alla resa, al tipo d’irrigazione di cui necessitano e dalla assente o modestissimo impiego di prodotti chimici per la loro coltivazione.

La resa è il rapporto in percentuale fra il guscio e il seme e varia tra le cultivar tradizionali e quelle moderne.
La mandorla di Avola, ad esempio, ha una resa del’80% ed è custodita in un guscio particolarmente tenace e tale rapporto è esattamente opposto nella mandorla californiana, che invece è inclusa in un guscio tenero.

Le produzioni intensive in California implicano l’utilizzo di 4 litri circa per ogni seme di 1 grammo. Le mandorle di Avola hanno subito un adattamento ambientale e una selezione genetica, al clima caldo e secco siciliano e per la loro coltivazione è sufficiente l’acqua piovana stagionale ed eventuali rare irrigazioni di supporto. Questa differenza nell’irrigazione si riflette sulle caratteristiche qualitative.

L’ intensa irrigazione influisce sul guscio più tenero e permeabile delle mandorle californiane e ciò si riflette sulle caratteristiche organolettiche e alla maggiore predisposizione alla contaminazione da micotossine. La maggiore percentuale di acqua presente nelle mandorle californiane comporta una minore quantità di vitamina E, polifenoli, potassio, magnesio, calcio etc..nel prodotto commercializzato.

Le condizioni climatiche e la maggiore umidità nei processi di coltivazione e produzione implica il sistematico impiego di anticrittogamici e neonicotinoidi. Il massiccio impiego di prodotti chimici ha come conseguenza una alterazione del ecosistema per il ciclo vitale delle api che sono fondamentali nei processi d’impollinazione dei mandorli. È come anticipato la maggiore umidità di coltivazione, la maggiore percentuale di acqua nel prodotto e la maggiore permeabilità del guscio predispone a maggiori contaminazioni delle mandorle con i prodotti chimici impiegati e anche alla formazione di muffe e quindi ad una maggiore quantità di micotossine che si accumulano durante lo stoccaggio.

La coltivazione delle mandorleti di Avola, al contrario, per la vocazione dei terreni, le caratteristiche delle cultivar e l’ecosistema favorisce ed è favorito da una intensa attività delle api con un importante riflesso sulla produzione e sulla qualità del miele degli apiari locali che sono favoriti da un clima invernale meno rigido. L’ecosistema favorevole riduce l’uso di prodotti chimici (quasi assenti) per la produzione e le contaminazioni con aflatossine o sostanze riconosciute con un alto potenziale cancerogeno.

La Commissione europea come per il grano, anche in questo ambito, purtroppo, ha sacrificato gli interessi della salute pubblica a quelli del commercio internazionale. Al punto da decidere di innalzare la soglia di aflatossine ammessa nelle mandorle da 4 a 10 microgrammi per kg (μg/kg) 2,5 volte tanto, sebbene si tratti di contaminanti genotossici e cancerogeni.

A riprova dei gravi rischi di sicurezza chimica degli alimenti in questione, in campionamenti conseguenti ai piani di sorveglianza spesso in diverse partite di mandorle, in arrivo dagli USA, sono state rilevate contaminazioni con aflatossina B1 a livelli 7 volte superiori alle soglie ammesse.
La globalizzazione anche in questo caso mostra il suo lato oscuro mettendo a rischio risorse dei mercati ambientali e umane (compreso lo sfruttamento della manodopera minorile per la raccolta come in Turchia) oltre che corrompere in modo irreparabile ecosistemi esistenti e resistenti da secoli.

Il minore costo di produzione spesso corrisponde a prodotti che valgono meno, al di là dell’apparenza. La soluzione agli scempi ambientali ed economici indotti da queste pratiche innaturali possono essere combattute solo dai consumatori e dalla presa di coscienza e di conoscenza delle qualità dei prodotti e del metodo di produzione.

La mandorla rappresenta un prodotto dell’antica tradizione siciliana impiegata anche in diversi campi come quello alimentare e come in quello cosmetico ed è uno dei frutti rappresentativi nell’immaginario gastronomico che la cucina siciliana offre. Anche da un punto di vista naturalistico le distese di mandorli in fiore sono rappresentative del corredo scenografico unico rappresentato dalla Sicilia. La Sicilia rappresenta anche un tesoro di biodiversità per le diverse varietà di mandorle che si possono trovare: Pizzuta, Genco, Tuono, Ferragnes, Vinciatutti, Cavalera, Fascionello, Nivera, Don Pitrino, Giardinello, Romana.
Ognuno con caratteristiche e proprietà organolettiche diverse, e peculiarità uniche che non devono andare perdute.

Le mandorle siciliane sono poi ricercare ed impiegate per la produzione dei confetti e le varietà siciliane sono quelle che meglio si prestano come varietà pregiate per prodotti di alta qualità. Non a caso anche i reali della casa britannica si approvvigionano delle ricercate e famose mandorle di Avola per la dispensa.
I mandorleti sono diffusi in quasi tutta la Sicilia con le cultivar più adatte alla zona e oltre ad Avola (che comprende tre cultivar principali: Pizzuta, definita da Sciascia “di ovale perfetto”, Fascionello e Romana o Corrente d’Avola), li troviamo a Barrafranca, a Pietraperzia, nel Palermitano a Vicari ad esempio, o nell’Agrigentino, si trovano appezzamenti di alberi centenari tramandati, nella coltivazione da padre in figlio.

Per rendere l’idea dell’importanza della Sicilia nella produzione delle mandorle basti pensare che vanta l’80% della produzione rispetto a quella italiana e la migliore qualità al mondo di mandorle. Fino agli anni Sessanta la provincia in cui era presente la maggiore coltivazione di mandorle era quella di Agrigento dove, soltanto all’interno del Parco della Valle dei Templi, si trovano ancor oggi circa 300 varietà ed ecotipi locali di questa coltura.

Il mandorlo non rappresenta solo un frutto, ma una storia, originario dell’Asia centrale, arrivò in Sicilia con i Greci e tra i Romani il suo frutto era conosciuto come “noce greca”. Secondo il mito omerico quest’albero nacque da una commovente e sfortunata storia d’amore: quella tra Fillide, principessa della Tracia, e Acamante, eroe greco impegnato nella guerra contro Troia.

Non vedendolo tornare dalla guerra e credendolo morto, Fillide si lasciò morire. La dea #Atena ebbe compassione di lei, e la trasformò in uno splendido albero di mandorlo; Acamante, però, non era morto e sapendo che Fillide era stata trasformata in albero, abbracciò la pianta che, per ricambiare le carezze, fece prorompere dai suoi rami candidi fiori invece di foglie.

Ancor oggi, l’abbraccio fra i due innamorati è visibile in primavera, quando i rami dei mandorli fioriscono per testimoniare l’amore eterno dei due giovani.
Le mandorle vengono raccolte manualmente tra la fine di luglio e i primi di settembre e dopo la raccolta vengono private del mallo e asciugate al sole.

Fonte: Siculomania






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Di Treman

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