Alla fine dell’ottocento il peso del settore agricolo nei vari stati europei era enorme e garantiva al sistema nazionale di sostenere la crescita industriale. Prima della Grande Guerra la crescita del settore industriale chiamava dalle campagne un gran numero di contadini che si riversavano nelle città. Coloro i quali rimanevano nelle campagne dovevano fare i conti con i grandi proprietari terrieri che avevano conservato comunque un grande peso politico nelle scelte nazionali.

In generale, le nazioni europee avevano messo in piedi un sistema protezionistico ponendo dazi alle importazioni e regole sempre più stringenti sulle quantità dei prodotti agricoli in entrata. Inoltre si imponeva alle industrie di trasformazione una sempre maggiore quota di prodotto nazionale da utilizzare nella produzione.

Ogni stato sovrano aveva, quindi, un numero elevato di norme e regole sull’agricoltura che cercava di proteggere gli agricoltori e rendendo differenti tutti i sistemi agricoli oltre alle normali differenze dovute al clima e al territorio. Dopo la Grande Guerra le pretese degli agricoltori di ritorno dal fronte erano altissime e si scontrarono inevitabilmente con la lobby dei proprietari terrieri. Per garantire ai ceti più bassi un reddito dignitoso ed evitare la fuga nelle città per lavorare nelle industrie, si inasprirono i dazi all’importazione e le norme sugli scambi commerciali.

Un preludio alla crisi agricola che colpì nel 1921 gli Stati Uniti e, qualche anno dopo, nel 1925 i paesi europei e si aggravò con la depressione mondiale del 1929. Ulteriore causa di aumenti di dazi e protezioni nazionali.

La situazione europea del dopoguerra è disastrosa. L’agricoltura europea non riesce a garantire le necessità alimentari e fare ripartire l’agricoltura diventa un imperativo di ogni stato. Inoltre i ricordi negativi degli anni di guerra sono ancora vividi nei cittadini e l’aiuto americano con un piano alimentare denominato “Marshall” attenua la richiesta di cibo, ma non la completa.

Il mondo, intanto, si ritrova con due grandi blocchi politici molto diversi, americani e russi, che iniziano a consolidare le aree di influenza e innescano quella che verrà chiamata “guerra fredda”.

L’Europa si ritroverà al centro dei due fronti e volendo bilanciare ha bisogno di sicurezza alimentare e di un mercato interno che possa garantire all’economia europea di crescere e prosperare. Inizia così una fase di apertura tra gli Stati europei per creare un mercato comune in grado di contrapporsi ai due blocchi in cui l’agricoltura fosse al centro e fondamentale in questo processo di unione. Andavano, però, affrontate le molteplici differenze nel settore agricolo tra i vari stati per trovare una strada comune e spesso si sono raggiunti compromessi pur di realizzare il Mercato Unico Europeo.

I primi passi verso il Mercato Unico cominciarono nel 1947, subito dopo la fine della guerra. L’obiettivo comune di garantire la sicurezza alimentare e di essere autosufficienti, permette di discutere sulla forma migliore e sugli interventi da mettere in campo per realizzarlo. Il primo accordo tra sei nazioni, Italia, Francia, Paesi Bassi, Olanda, Lussemburgo e Germania Ovest, si trova con il carbone e l’acciaio, denominato CECA, la comunità economica europea per il carbone e l’acciaio, nel 1951. La fondazione della CECA apre le porte a nuove discussioni per allargare ad altri mercati la comunità e nel 1955 si discute della creazione di un trattato europeo di più ampio respiro. Da lì a poco, nel 1957, a Roma nascerà la Comunità Economica Europea che entrerà in vigore il primo gennaio 1958. All’interno del Trattato di Roma grande rilevanza avrà l’agricoltura e segnerà l’inizio della Politica agricola Comune detta PAC.

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Di Treman

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