La coltivazione del lino è antichissima e i tessuti che si ricavano erano usate dagli Egizi, per le loro mummie, usarono freschissime bende di lino che sono tra i più fini prodotti del genere dell’antichità. Oggi, tuttavia, le fibre sintetiche in gran parte hanno sostituito il lino.
Nel secolo XIX il lino era diffuso in tutta l’Europa, oggi sono la Francia e il Belgio (pregiatissimo il cosiddetto lino delle Fiandre) a detenere il primato della coltivazione del lino. Nel siracusano la coltivazione e la lavorazione del lino dava lavoro a ben 5000 operai, più tutto l’indotto relativo alla tessitura.
Questa attività, per via dei miasmi che esalavano dal trattamento della lavorazione delle fibre di lino, era sottoposta a disciplina sanitaria. L’Amministrazione comunale di Palazzolo, per citarne una, nei suoi “Regolamenti Municipali” del 27-12-1865 all’art. 25 del Capo Terzo prescriveva: “La macerazione dei lini e canapi non può cominciare prima del 16 agosto e sempre dietro il permesso dell’Autorità Municipale, conservando dall’abitato la distanza come dal precedente articolo (un chilometro e mezzo della periferia dell’abitato, ed infra la distanza di m 800 dalle pubbliche vie rotabili, e dalle case abitate di campagna e dai mulini”.
I regolamenti, le discipline sanitarie, le ripetute sospensioni dell’attività dei maceratoi (si ricordi che siamo in un periodo in cui imperversava il colera in Italia e in Europa, altre epidemie erano in agguato e le condizioni igieniche della popolazione erano allarmanti) per limitare le conseguenze dell’aria malsana, non impedirono, tuttavia, la chiusura di questa attività ratificata nel 1872 per Decreto reale. Nel periodo fascista si tentò di ripristinare tale coltura anche per agevolare le terre depauperate; si tentarono degli esperimenti di macerazione a destra del Ciane verso la foce, i risultati non furono quelli sperati.
Assieme alla canapa, il lino ha costituito fino a qualche decennio fa anche oggetto di cultura familiare non vi era quasi famiglia che non fosse impegnata nella coltivazione, nella trasformazione o nella tessitura di biancheria per il corredo.
Negli anni ‘50 il lino scomparve nuovamente dalle campagne siciliane quasi definitivamente. Per l’inadeguatezza dei mezzi tecnici che non si erano ammodernati con il tempo e per le sempre più pressanti problematiche relative alle norme sanitarie.
Oggi ci sono alcuni tentativi nella zona di Palazzolo Acreide di riprendere le tradizioni della coltura secondo le tradizioni tramandate.
Il lino oltre che per la tessitura è apprezzato anche per i preziosi semi, fortemente oleosi, oltre a servire per pitture e vernici sono impiegati nella medicina popolare.
Pestati e cotti sono impiegati per decotti, come emollienti e antiflogistici; come cataplasmi, adagiati caldissimi sulla pelle, sono impiegati come medicamenti nelle raccolte purulente e catarrali; bolliti in acqua e olio di oliva e in impacco con anice alleviano il mal di gola, venivano usati contro la tisi, e, miscelati con resina e mirra, erano impiegati per lenire le conseguenze delle ernie.
Abbrustoliti davano un effetto astringente e in clistere con olio o miele lenivano le affezioni perniciose dell’intestino; i semi del lino catharticum uniti all’uva passa servivano a guarire dal mal di fegato.
L’olio di semi di lino, infine, insieme all’olio di soia (acido linoleico), ancora oggi si impiega largamente per curare la psoriasi e altre patologie della pelle.
Per le procedure di macerazione e battitura le fibre di lino sono state prese come metafore per coloro che subiscono diverse pene prima di trovare pace.
Proprio da questo parallelismo ha origine il detto di “Passari li guai di lu linu?”che letteralmente significa “Passare i guai del lino“. Le fibre del lino sono contenute nella parte interna della corteccia. Gli steli si mettono a macerare, quindi vengono sottoposti alla maciullatura per mezzo di martelli detti gràmole, azionati a mano o meccanicamente, che schiacciano e frantumano la parte legnosa. Così, viene fatto un paragone tra la sorte del lino, che viene battuto e martellato, e una persona che affronta guai e peripezie.
Tratto da Siculomania