Negli ultimi anni si discute tanto sull’utilità delle lavorazioni del terreno e la stretta correlazione tra loro e la fertilità del terreno. Per alcuni l’aratro e tutti gli altri strumenti per la lavorazione del terreno, pesante o leggera, principale o secondaria, è il male assoluto da evitare.
Chi ha ragione? nessuno.
Bisogna partire da molto lontano e andare fin dalle origini dell’agricoltura stessa. Perché lavorare il terreno con l’aratro spinto dagli animali aveva fatto fare un salto produttivo alle attività agricole dell’uomo. Infatti l’aratro permetteva di ottenere produzioni più cospicue. Un fatto semplice come il sole che colpiva le piante.
L’aratro permetteva e lo fa ancor oggi con l’uso di trattori sempre più potenti e tecnologici, ma anche più sostenibili per l’ambiente, di aumentare la porosità del terreno, rompere la crosta superficiale che inevitabilmente si forma nel suoli nudi con la pioggia ed il sole cocente, liberarsi di piante inutili e infestati e permettere alle Radici di crescere più facilmente nel suolo.
Allora perché l’aratro e le lavorazioni principali del suolo sono viste come negative? Perché io continuo uso delle lavorazioni del terreno con l’aratro diminuiscono nel tempo la quantità di materia organica presente nel suolo, riducendo di fatto la fertilità. Infatti, l’aratro taglia orizzontalmente e verticalmente una fetta di terreno e la ribalta di 135 gradi. Tutto quello che sta sopra viene portato sotto e si modificano di fatto gli orizzonti del suolo. Il rivoltamento modifica la struttura e anche gli strati e la loro composizione.
Quindi se da un lato le lavorazioni del terreno si rendono necessarie per raggiungere determinato obiettivi orientati alla crescita ottimale delle piante partendo fin dalla preparazione del etto di semina più nel, dall’altro lato della medaglia paga il dazio lla fertilità del suolo e della mancata formazione di materia organica e dei microrganismi presento nello strato superficiale di un suolo.
Per questo oggi si tende ad operare lavorazioni minime del terreno e con l’utilizzo di strumenti che tendono a lasciare intatto il profilo del suolo. Però si intuisce che bisogna fare i conti con l’obiettivo principale delle grandi e medie aziende della massima produzione e massima produttività e l’aratro rimane uno strumento utilizzato massivamente e compensando con la chimica la perdita di fertilità.
La non lavorazione del terreno è una discussione che si può legare solo alle piccole aziende agricole e agli appassionati di orti e balconi, oppure ai piccoli appezzamenti di terreno dove si coltiviamo frutteti.
Rimane intatta, però, la necessità di passare ad una agricoltura sempre più sostenibile per il nostro ambiente che metta in pratica lavorazioni del suolo non invasive e in linea con la necessità di salvaguardare biodiversità e fertilità del suolo. Pratiche agronomiche che si stanno espandendo, ma ancora lontane al diventare le uniche.
Foto di RENE RAUSCHENBERGER da Pixabay
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